Orecchio Assoluto e Orecchio Relativo

Tra il sentire e il capire

Si dice spesso che in musica la cosa più importante sia “avere orecchio”: questa affermazione in genere si riferisce alla sensibilità e alla predisposizione all'ascolto del musicista, ma anche alla capacità di riconoscere gli elementi fondanti del linguaggio musicale, cioè note, intervalli, scale e accordi.


In particolare, una delle qualità più blasonate e decantate è l'orecchio assoluto, che sembra indispensabile per poter fare musica. Ma come funziona esattamente l'orecchio assoluto? Si può avere o costruire con l'allenamento? A queste domande risponderemo in questo breve articolo. 



Cos'è l'orecchio assoluto?



Il termine “orecchio assoluto” (o “absolute pitch”) indica la capacità di individuare esattamente la frequenza di un suono, quindi il poter dire ad esempio che si è avvertito un La4 o un Re3, il tutto senza l'ausilio di uno strumento musicale o di un qualunque altro riferimento.


Questa abilità è innata e posseduta da una bassissima percentuale di persone (circa il 0,01% dei musicisti), tuttavia potrebbe benissimo essere presente in non-musicisti, che potrebbero non accorgersene mai o non saprere come sfruttarlo.


Le cause della formazione di questo famigerato orecchio assoluto potrebbero essere una mutazione genetica unita ad un assorbimento da parte del neonato di diversi generi musicali complessi come la classica o il jazz, ma non c'è ancora certezza in questo. La quasi totalità dei musicisti dunque deve ricorrere ad un altro tipo di orecchio musicale, chiamato “orecchio relativo”. 

                   


L'orecchio relativo e il suo funzionamento



Come suggerisce il termine, l'orecchio relativo ha bisogno di un'altezza di riferimento (ad esempio i 440hz emessi dal vibrare di un diapason) per “calibrarsi”: tutti i suoni che verranno uditi successivamente saranno messi in relazione al suono iniziale, dedotti quindi per distanza seguendo la scala musicale.

Facendo un esempio pratico: un musicista con l'orecchio assoluto può dire al primo colpo che ciò che sente è un Re4, mentre con l'orecchio relativo bisognerebbe sentire prima il La4 del diapason, poi cantarsi o immaginarsi la scala musicale che scende fino ad arrivare al Re4 (La-sol-fa-mi-re). Di primo acchito si direbbe che l'orecchio relativo sia decisamente più lento e fallace di quello assoluto. Ma è sempre vera questa affermazione? 



                   


Verso l'orecchio assoluto


                   

Un orecchio relativo può in realtà ambire all'accuratezza e alla velocità dell'orecchio assoluto, con tanto esercizio, tanti ascolti e tante intonazioni degli elementi musicali: come si diceva prima, le scale più comuni (maggiore e minore naturale per cominciare), gli intervalli, le triadi e le loro inversioni. Anche cercare di trascrivere melodie semplici, come inni, canti popolari o ninna nanne può essere un esercizio più difficile del previsto e certamente utile. 

Con anni di esperienza l'orecchio relativo diventa molto veloce perché attinge e confronta dal materiale musicale che ha immagazzinato, e in certi casi riesce anche a ricordarsi alcuni suoni in maniera assoluta. L'orecchio assoluto, invece, non è allenabile di per sé, quindi a volte potrebbe essere più lento di un (buon) orecchio relativo. Anche i musicisti dotati di orecchio assoluto quindi dovranno esercitarsi per migliorare il proprio orecchio relativo, utilizzando l'assoluto come una facilitazione iniziale e non come un punto di arrivo. 

                   


Come allenare l'orecchio relativo



Per tutti i musicisti è fondamentale la disciplina dell'”ear training”, in genere trattata nei corsi di teoria e solfeggio; riconoscimento, trascrizione e riproduzione di melodie a difficoltà crescente sono volte proprio a costruire un vocabolario musicale e dare all'orecchio una sempre maggiore  
sicurezza.

Bisogna considerare il proprio orecchio come il nostro mondo: si parte da una piccolissima città in cui nasciamo, fino a spostarci, fare esperienze, espandere i nostri orizzonti e scoprire che anche il mondo può essere piccolo e familiare.


L'ear training è un lavoro che si può fare in completa autonomia 
(ci sono oggigiorno diverse app e programmi anche gratuiti), ma guidati da un insegnante diventa molto più veloce e proficuo. L'ideale è unire le due cose e dedicarci anche solo una decina di minuti al giorno fino ad arrivare a grandi risultati negli anni.

E' importante essere sicuri all'interno dei propri limiti e alzare sempre di più l'asticella e la complessità della musica che si ascolta; in questo modo l'orecchio relativo può espandersi senza freno. 


D'altra parte studiare serve a questo!